mercoledì 27 ottobre 2010

Audition - il Cinema e l'Amore secondo Takashi Miike (10 ottobre 2010)

"Kiri, kiri, kiri..."  "Più giù, più giù, più giù..." 
Ci sono film che tolgono il fiato, altri che stravolgono il modo di vedere quello che ci circonda, altri che semplicemente scioccano. Bene, Audition è un film che causa questi effetti contemporaneamente. Questo film lanciò definitivamente la carriera di Takashi Miike, regista giapponese molto apprezzato in patria ma ancora poco conosciuto qui in Italia. 
Miike ha uno stile violento, veloce e splatter con tanta azione alternata a momenti di eccessiva lentezza, i suoi film sono riconoscibili perché hanno un vero e proprio marchio di fabbrica ovvero la contaminazione di più generi filmici e la provocazione. Miike è un regista estremo che ha sconvolto il modo di fare cinema ad esempio unendo in un suo film (The Happines of the Katakuris) horror, commedia e musical. 
Ma ritorniamo al nostro Audition. 


Shigeharu Aoyama è un uomo rimasto vedovo che si prende cura del figlio Shigeiko, decide di risposarsi e per trovare moglie organizza un'audition, ovvero un'audizione per un film che non si farà mai, con il solo scopo di trovare la moglie adatta. Ayoama perde la testa per la giovane e misteriosa Asami (la bravissima e letale Eihi Shiina), ragazza fragile dal passato tanto tormentato quanto misterioso. Asami dichiara di essere stata una ballerina, di essere stata contattata da un discografico e di lavorare in un locale: i due iniziano a frequentarsi.
Questa è la storia alla base di Audition, una storia normale con un finale disturbante, vedendo i primi 60 minuti di film si ha la sensazione di trovarsi davanti a un film romantico in salsa giapponese. Vengono presentati i protagonisti, le loro fragilità, le loro solitudini, addirittura si sorride in alcune scene. La cinepresa di Miike inquadra un angolo di stanza e lascia che l'azione si svolga, la fotografia è perfetta, i dialoghi sono scarsi. Con l'avanzare degli eventi, il film romantico si trasforma in un incubo di sogni e ossessioni, di flashback che sconvolgono il protagonista e lo spettatore (che sono sullo stesso piano e condividono le stesse paure).
Senza nessun preavviso ci troviamo di fronte alla violenza e alla perversione pura. Le visioni oniriche di Aoyama iniziano lentamente a spiegare il film: scordatevi il film romantico, scordatevi la commediola giapponese. 
Il verso che fa Asami mentre gioca con gli spilli vale migliaia di urla ed è molto più inquietante dei colpi di scena di molti film horror occidentali, anche se qui di horror non c'è niente. Qui non ci sono mostri, non c'è sangue, non ci sono colpi di scena inaspettati.
Qui ci sono scene lente e macabre.
Qui ci sono telefoni che squillano, donne sedute di profilo che sorridono e sacchi che si muovono.





Tutto ha una macabra linearità e anche Asami è lineare e coerente con il suo progetto. Gli ultimi minuti di film (per chi riesce ad arrivarci) sono orribili da un punto di vista estetico ma perfetti dal punto di vista della trama. Infondo questa è una storia d'amore, i due protagonisti sono due solitudini che cercano di unirsi, sono due facce della stessa medaglia. La violenza è amore secondo Miike.

Vedendo Audition non potrete dargli torto. 

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